sabato 24 dicembre 2011

ed ecco la storia di Natale


Ah Ecco, ho la vostra storia di Natale. Lacrimevole, forse, come si conviene.

Ho una storia di emigrazione che inizia dal primo anno delle scuole medie.
Nel 1984 lasciammo la nostra piccola casa per trasferirci in una più grande, in un altro paese direte voi? No, a soli 5km, ma per noi è stato come attraversare l’atlantico.
Mentre prima abitavamo in centro ora eravamo in quella che all’epoca era periferia estrema: desolazione, campagna, pecore al pascolo sotto casa e gente sconosciuta.
Mi pareva di essere finita a Berlino est.
Gli autoctoni ci guardavano come usurpatori del territorio visto che le nostre case erano state costruite sul campo dove questi erano soliti giocare a calcio.
Dopo 25anni questa periferia conta 50mila abitanti.
Io e i miei fratelli perdemmo gli amici e io pure il morosetto dell’epoca del quale ero perdutamente innamorata…ma che riteneva una fatica immane prendere un bus per raggiungermi.
Ci sentivamo per telefono ma non è durata. Poi mi ha confessato essere lo stalker silenzioso che per mesi chiamava e rimaneva muto al telefono solo per sentire la mia voce. Che tenero ^__^.
Alla fine delle scuole medie si doveva decidere quale liceo frequentare, quasi tutti i miei compagni scelsero lo scientifico io invece…siccome volevo fare l’alternativa… scelsi un istituto tecnico a ben 20km da casa. L’unica folle della mia scuola ovviamente.
Nessuno riusciva a capirne il motivo. Io a dire il vero il motivo l’ho scoperto da poco.
Ma bando alle ciance…questa scelta ha fatto si che perdessi pure gli amici delle medie. Ma perché non uscivo per incontrarli chiederete voi…si..certo..provate ad essere una ragazza e ad avere un cazzutissimo mastino come genitrice e poi ne riparliamo.
Durante gli anni dello strano liceo abitando distante non potevo frequentare i miei compagni di scuola per cui anche in questo caso pochi contatti, se non nulli.
Mi diplomo finalmente, decido per l’università. Ovviamente che faccio? Scelgo una facoltà che non esiste nel mio territorio e sono ‘costretta’ ad emigrare nuovamente.
200 km da casa. Si ricomincia.
Perdo molti dei contatti che avevo faticosamente mantenuto e mi ricreo una nicchia di amicizie emigrate come me.
Termino l’università e inizio a lavorare, ma l’idillio viene interrotto…per motivi personali sono costretta ad emigrare di nuovo. E che palle! Ho dovuto abbandonare perfino il mio verduraio preferito al mercato: un tizio poco raccomandabile pieno di tatuaggi e di poche parole, ultrà della squadra della città, che mi conservava sempre le zucchine migliori.

Ed eccomi emigrata nella ridente pianura padana. Ho oltrepassato il Tirreno, un enorme passo prima inimmaginabile. Per chi ha sempre vissuto nella penisola potrebbe sembrare una bizzarria...e invece vi posso assicurare che è come tagliarsi un arto.
Ebbene, si ricomincia ancora una volta.
Altri amici, altri posti, altri odori, altro salumiere, altro verduraio, altra mentalità.

Passano gli anni e molte delle persone che prima erano amiche diventano inevitabilmente solo conoscenze, a parte alcune eccezioni con le quali tutt’ora sono in contatto per fortuna.
Il bello di essere una emigrata è che visiti luoghi e conosci sempre gente nuova, ma quando torni in quella che dovrebbe essere casa tua…beh….non ti senti più a casa ed è come se fossi un ospite. Anche se hai ancora il tuo armadio, il tuo letto e la tua foto dei 7anni è ancora appesa in camera vicino a quella dei tuoi fratelli.

Ecco, tenete presente anche questo quando vi punge vaghezza di abbandonare il nido.

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